martedì 31 maggio 2011

- Faccio tardi [passatempo responsabile] -

Contavo di  arrivare per quell'ora,
ma il treno mi s'è spento qua a Lissone:
il macchinista prega, piange, implora,
ma non si vuole muovere, il bestione!
E' ferma, l'aria, è calda, l'aria: odora
di vecchio, di sudato, di persone!
 Scendo a fumare oppure sto al mio posto?
No resto e mi reaffogo nell'Ariosto.

- Petrino -

Di estasi di vino di vini gli amori
i capelli i suoi denti i suoi occhi
l'onda sotto e dentro la bocca
m'inebrio
m'inebrio e mi sbronzo
_

Potrà essere il gesto, lo sguardo
la saliva asciugata, la mano
che si attacca e trattiene:
l'ho persa,
è qui in piedi e l'ho persa

Voltata sul lavandino
il viso scompare
faccio in tempo a notare una macchia
nel lavandino
c'è una macchia nel lavandino
_

Precisa l'apnea i miei contorni
traballanti, vili, arrossati
Resto scalzo sulle piastrelle
Va al frigo
Va al frigo e si prende una birra
_

Si prende una birra e un'altra la lancia a me
me la lancia e nemmeno si volta
Si muove lenta, con calma stanca
sacerdotale
sfinita e sacerdotale

Vale poche sfibrate parole, l'attesa:
a che ora c'è il treno, a chi tocca la spesa.
Una mano che s'infila e sposta
dalla fronte
i capelli dalla fronte

Lei alza la testa e io abbasso la mia:
non c'è bisogno stasera che scopra
in quale lingua parli la sua faccia.
Conosco già.
Conosco già o magari non voglio.
_

Mi spoglio girandomi verso la porta:
lungo tutto il corridoio quel caldo
sulla nuca, in mezzo alle spalle
è il suo sguardo
io son convinto, quello è il suo sguardo

Sono nudo alla porta di camera nostra
mi raggomitolo nel mio angolo del letto
e poi faccio finta di dormire:
ché se mi trova che dormo mi abbraccia,
io l'ho sentita, una notte
che non riuscivo a prender sonno.
Mi abbraccia.
Piange.
Mi abbraccia.

martedì 10 maggio 2011

- Urlando Furioso -


Di poi che nello specchio fu guardato
il fier sembiante mogio e disparuto,
nell'occhio spenta e sfiata la scintilla,
piegato, reso, e plorante il labbro,
riflesso e carne si scambian di posto:
che chissà mai non fosse stato prima,
che dopo caffè o doccia una mattina
dal vetro senza murmure o rumore
uscito quello, entrato questo pure.


Se dalle uman sentenze poca fede
trarsi si può - e voglio esser gentile -
da immagini e da spirti (per chi crede),
costretti a falsa vita - ohimè: servile! -
convien partirsi senza cortesie,
lasciando disertate piazze e vie
non concedendo il ben d'una carezza,
ché Riflesso ogni affetto afferra e spezza:
rimaner deve nudo in pianto o danza.


E non si salvi da lustra prigione,
con parola, con libro o con bastone,
l'imbavagliato frusto carcerato,
scivolato per colpa o per inganno
dietro lo specchio: beh, se l'è cercato!
Concedasi l'Orbe giusto riposo,
da chi con lagna e strepito inquinava
umori et aria, et ora frigna e sbava,
e batte i pugni, urlando furioso!

venerdì 29 aprile 2011

- non se ne va -

comprati un auto
comprala ancora
cerca discreto
quella più nuova

vestiti bene
misurati il pene
non t'immischiare
non disturbare

non farci aspettare perché
questo è quanto ci si aspetta da te

fatti una moglie
facci dei figli
qualcosa ci dai
qualcosa ti togli

fatti guardare
fatti trovare
fatti raggiungere
sei in casa? sei al mare?

non farci aspettare perché
questo è quanto ci si aspetta da te

trova un lavoro
pensa con cura
misura i dettagli
raccogli ritagli

scegli parole
famiglia dio prole
scegli con calma,
scegli: c'è tempo

scegliere è un'esigenza perché
questo è ciò che si esige da te

conta i minuti
conta le ore
conta i caduti
e i colpi del cuore

facci sorridere
facci sognare
scompari alla vista
prepara la pista

non farci aspettare perché
questo è quanto ci si aspetta da te

manda giù l'aria
manda giù bile
manda giù l'anima
che c'è di servile?

ascoltaci, attento:
qui conta l'evento
qui conta la scena,
tu rendila piena

noi stiamo in platea,
aspettiamo l'idea,
aspettiamo il sollazzo,
aspettiamo il tuo cazzo,
attaccato ad un palo con chiodi e con spaghi
aspettiamo i tuoi occhi aperti dagli aghi.

aspettiamo con poca pazienza
abbiamo già l'esecuzione, ma vogliamo la sentenza

ti proibiamo di fare il bambino
non restartene chiuso in camerino:
il trucco si disfa, il sorriso non piace
non pensare neppure per un solo istante a come sia darsi pace.

la regola è questa, non occorre accettarla:
la regola esiste, non dar retta a chi parla,
a chi dice di noi cose sporche e cattive:
noi siamo sempre sempre stati
attorno a chi nasce, attorno a chi vive.

Il tempo si affloscia,
si abbandona, si liquefa lungo la coscia:
noi aspettiamo però
tu non farci aspettare perché
è solo questo che aspettiamo da te.

lunedì 4 aprile 2011

- L'Esorcismo -

[Il poeta viene invitato al centro del palco: dalla platea arriva un silenzio incerto, indifferente e ostile.
Il poeta appare forte di una convinzione pacata.
Atteso qualche istante, annuncia l'esperimento d'esorcismo. L'intenzione nella voce è seduttiva, morbida e calda: il discorso viene presentato con fermezza scevra da fanatismi.]

"Buona sera. Come tutti voi sono qui anch'io per parlare di musica.
Parlare, poi... farla, ascoltare. Parlare no.
Ma qualunque sia il motivo che ci porta qui oggi, è però per tutti noi - e per la salvezza stessa di quel motivo, intimo in ciascuna e ciascuno di noi, e che stasera ci vuole qui - fisiologicamente necessario riuscire a liberarsi di una figura, di una mentalità in genere, incarnata in quelle persone - uomini e donne - che nel corso degli anni più recenti hanno lavorato con indefessa energia allo sbriciolamento della vita così come sarebbe degna.
In questo il mio compito è far da tramite a questa voce, dandole il mio corpo, perché possa essere afferrata e colpita.
Quando avrà smesso di parlare, gridatele contro una parola che gente del genere ultimamente pare comprendere molto bene. Un semplice 'Vaffanculo!', di cuore, potente, per farla a pezzi"

[Il silenzio si fa più incerto ancora: non è affatto chiaro cosa il poeta richieda, né se sarà in grado di prodursi in un rito così elaborato.
Lo si osserva estrarre un foglio dalla tasca con movimenti irrigiditi, tagliare la bocca in un ghigno beffardo e irridente, e avvicinarsi al microfono]


M'hanno chiesto di parlare di musica,
la richiesta mi sembra coerente:
ma come faccio a parlare di musica,
se di musica io non so niente?


Per esempio io non ho vibrazioni,
dentro un'anima vera o fasulla,
vibro solo dentro ai pantaloni:
che ne so della musica? Nulla.


Per esempio cosa so di concerti?
Non conosco, non voglio: davvero!
Son di quelli che restano inerti:
che ne so della musica? Zero.


Per esempio che ne so del sudore,
che bagna, che inzuppa l'ambiente?
Che ne so di parola e colore?
Che ne so della musica? Niente.


Per esempio che ne so del furore?
Non so certo se ho vissuto o vivrò:
te lo dico ed ottengo stupore.
Ne so qualcosa, di musica? No.


Per esempio si può prendere il volo,
ogni nodo terreno è disfatto!
...preferisco inchiodarmi sul suolo.
So di musica? Oh, niente affatto!


Per esempio si può alzare il volume,
fino a rendermi libero e pazzo!
...ma impazzire non è mio costume.
Che ne so della musica? Un cazzo.


M'hanno chiesto di parlare di musica,
perché è quello che vuole la gente,
e così anch'io avrò parlato di musica,
e di musica io non so niente.


[Il poeta alza una mano verso il pubblico e conta con le dita fino a 3: appare stremato, e costretto al controllo di una forza forse più grande delle sue capacità.
Raggiunta la fine della conta, il pubblico esplode in un corale e feroce 'Vaffanculo!', che scuote orgasmaticamente il poeta.
Resta in piedi ma pare accasciato, come una marionetta cui siano stati tagliati solo alcuni fili, mentre gli altri restano ancora appesi alle mani del puparo.
Trascorrono alcuni secondi.
Alza poi con profonda fatica la testa: si guarda intorno, smarrito.
Lentamente spalanca un sorriso d'estasi.]

"E' andato via..."

[Il poeta viene infine riaccompagnato dietro le quinte, fatica teatralmente a muoversi. Applausi liberatori]

mercoledì 9 febbraio 2011

- Finita la cena, si pulisce il pupo e lo si mette a nanna, poi ci facciamo l'amaro e il caffè -

Banale considerazione:

B. è talmente bombardato dalle conseguenze delle sue minchiate che vacilla da mesi, con il solo fine di mantenere la posizione eretta;
il PD alle elezioni ora come ora (e come la prossima volta, uguale) perderebbe qualunque cosa, persino della dignità se glien'è avanzata;
Vendola non ha ancora il margine sufficiente;
IDV idem;
la Lega dopo la figura barbina del federalismo non sta più così bene;
Fini sguscia erpetomorfo senza che ci sia modo di capire dove stia;
l'API ronza vanamente senza nemmeno aver più quell'inspiegabile fascino che voleva Casini conteso da tutti pur non avendo mai portato a casa più del 4%.

Nessuno di costoro può realisticamente avere una previsione certa di guadagno personale: col risultato che B. sta ancora lì, in cima alla sua pila di cacca, a produrne a getto ininterrotto ancora ed ancora, impotente e disperato contenitore in subbuglio di wagnerismi intestinali.
E da solo non cade.
Dondola.

Qualcuno me lo va a mettere a letto, poi tra adulti ci si sposta parlare in cucina a vedere se per Nonna Italia c'è ancora qualcosa che si possa fare? Vi va?
Io intanto metto su il caffè.

...quanti macchiati?


martedì 8 febbraio 2011

- La Mappa -

In scena ci vorrebbe una pistola,
per aggiungere del grasso a questa notte sola.
Scintillo nel mio abito da sera,
quello elegante: calzini, boxer, canottiera.

Mi accorgo lento di aver sbadigliato:
chissà quali e quante volte mi son ritrovato
immerso fino agli occhi in questo fosso.
Ma mai fino a vedermi mettere qualcosa addosso.

Nella campana del vecchio giaccone
mi raggiunge fioco il cigolio che fa il portone:
quindi è innocuo aggregarmi alla masnada
di chi a quest'ora cerca di trovare una sua strada

Non sento la pressione sotto i piedi,
non sento le scarpe stringere, se me lo chiedi:
stanotte naufrago come uno spettro
giù per i gradini gommati e neri della metro.

Scovo una mappa e la scorro col dito,
spaesato al mio paese, smarrito nel suo ordito,
cerco toponomastiche inattese
che non trascinino ricordi spenti d'ore spese.

Non mi serve un panino in viale Argonne,
c'è troppa puzza, troppi tamarri e poche donne.
Non mi serve vagabondare in Brera;
coi miei soldi non prendo nemmeno una birra intera.

E non volevo: l'occhio c'è inciampato
sull'inconsapevole quadrante che ha ospitato
l'ultima sera per me e lei vicini,
mezz'ora incolonnati lungo viale Forlanini.

Coi finestrini giù, restando zitti,
sperando forte di non uscircene sconfitti.
E lì ci siamo amati senza sguardi,
blindati nell'eterno "è troppo presto", "è troppo tardi".

Sospetto che la caccia sia finita:
non trovo una via che vada via dalla mia vita.
Risalgo a passi freddi in Monte Rosa
a inseguire il richiamo di un'insegna luminosa.

E forse in scena manca solo la pistola,
per raggiungere il finale di questa notte sola.