domenica 14 ottobre 2012

Cosa può capitare durante la sovraesposizione a contesti inappaganti


da qualche settimana ho voglia di scrivere,
mi faccio abbindolare da qualunque pre-argomento
che mi passi di nascosto qua davanti.
è la solita storia del voyeurismo dell'artista,
in special modo quando ti fa piacere chiamarti artista,
e sono dei mesi che non ne dai nessuna prova.

è passata una ragazza,
oppure nel treno ci sono un tot di persone,
il loro numero può comunque essere significativo:
può far venire voglia di parlare.
ma di una ragazza, che passa,
delle cabale tra utenti f.s. seduti,
dei soliti treni che - anche quando portano lontano da qui -
sono i soliti polverosi e grassi treni,
e non so più da che parte rigirarli.

"la luna, troppe anime l'hanno cantata!"
scrivevo con eccesso di enfasi
qualcosa come 15 anni fa.

there's nothing you can do
that can't be done,
scrisse un altro molto prima, ma forse ai tempi non lo sapevo nemmeno.
era la sigla di un rivoltante programma in tv:
è probabile che abbia cercato per anni
ossessivamente
di dimenticarla.
soffia più positività di quanto non credessi,
non c'è niente che tu possa fare
che non si possa fare, dai, su! vedi che se ci credi ce la fai.
mi secca non ritrovare quello sconfortante nichilismo mistico
che ti mostra la tua piccolezza e ti esorta al festevole oblio
dell'abbandono alla innocenza del sentimento.
scorro il resto del testo,
non c'è niente che tu veda che non sia in bella mostra: eccolo.

da qualche settimana ho voglia di scrivere.
ma di cosa puoi parlare, cosa vorrai mai vedere?
si lo so che non è il cosa,
non è mai il cosa:
è sempre il come,
l'arte si distinque per il feticismo della modalità
da qualunque altro tipo di più o meno involontaria comunicazione.
ma nell'incapacità di sfuggire all'imprinting di una vecchia passione
aristotelica,
volatile, e meno superficiale di quanto non abbia mai pensato,
non so credere a una forma senza una materia,
a un'identità di sostanza che manchi di un pezzo:
presupposto che serve eternità
- altrimenti che cosa siam qua a fare?
a stare, aspettando il morire? -
serve vernice che duri,
e non luci da far correre in aria,
per quell'istante, per quell'irripetibile momento,
che infatti poi finisce,
che infatti non si ripete,
e i pennelli non dipingono sull'aria.
e io da qualche settimana ho voglia di scrivere.
certo.

martedì 18 settembre 2012

dieci - tredici


Il nucleo del problema
dev'essere l'assenza di un amico immaginario,
penso, seduto in cucina,
mentre chiudo e poi accendo la seconda
del mattino.

La prima è già in bocca al bar,
e impasta le cazzate scambiate con la padrona
sopra al primo caffè - che non mi va di ber da solo.
La coerenza informale delle 10 del mattino
copre l'assenza pneumatica di un qualunque pensiero,
e dà moderato sfogo ai capillari che incrostano il cranio,
scricchiolanti di calcare che immagino
biancastro e inasprito come un vecchio vedovo
in coda al supermarket.

Il succo del problema,
che bevo piano accompagnandolo alla terza
del mattino
è la mancanza dell'amico immaginario.
L'amico immaginario è basilare,
offre paziente la sponda alle paturnie,
le riflette e le reinvia al mittente:
magari non le scioglie, quello mai,
ma è una cosa che succede,
si infila sotto alla pigrizia una tensione
verso una qualche forma d'auto-cognizione.
Di botto c'è qualcosa che si riesce a raccontare,
insabbiarsi nel divano non è più sfacelo e noia:
è uno scambio, è una storia, è lo scontro eterno tra il bene e il male.

Il bene è interpretato dall'amico immaginario.
Magistralmente.
Mette all'angolo, rintuzza, va di clava e di fioretto,
ha un vocabolario parecchio più ampio del mio,
una gamma sconfinata di mimiche espressive
e maggior capacità grammaticale:
lui è il cacciatore, io sono l'animale.

Comincio a preparare - qual è? - la quarta,
prima di pranzo.
L'amico immaginario sfuma dietro il primo sbuffo di nebbia azzurrina,
perde il volume.
Si fa incerta la sua necessità:
se non ti sento non puoi fottermi,
ti ho fregato di nuovo, stupido coso dentro alla mia testa!
Butto l'occhio all'orologio della cucina: è l'una.
Ora di cibo, che cerco dentro al freezer,
il mio menu è identico
al mio menu di ieri,
che è già un gran bel qualcosa, dopo
due settimane senza fare la spesa.

La regolarità si fonda sul
concatenarsi rigoroso dei principi:
e noi seguiamoli!
Impermeabili a qualsiasi consistenza,
il pranzo apre a un altro nuovo giorno
messo in salvo dagli stimoli.