mercoledì 9 febbraio 2011

- Finita la cena, si pulisce il pupo e lo si mette a nanna, poi ci facciamo l'amaro e il caffè -

Banale considerazione:

B. è talmente bombardato dalle conseguenze delle sue minchiate che vacilla da mesi, con il solo fine di mantenere la posizione eretta;
il PD alle elezioni ora come ora (e come la prossima volta, uguale) perderebbe qualunque cosa, persino della dignità se glien'è avanzata;
Vendola non ha ancora il margine sufficiente;
IDV idem;
la Lega dopo la figura barbina del federalismo non sta più così bene;
Fini sguscia erpetomorfo senza che ci sia modo di capire dove stia;
l'API ronza vanamente senza nemmeno aver più quell'inspiegabile fascino che voleva Casini conteso da tutti pur non avendo mai portato a casa più del 4%.

Nessuno di costoro può realisticamente avere una previsione certa di guadagno personale: col risultato che B. sta ancora lì, in cima alla sua pila di cacca, a produrne a getto ininterrotto ancora ed ancora, impotente e disperato contenitore in subbuglio di wagnerismi intestinali.
E da solo non cade.
Dondola.

Qualcuno me lo va a mettere a letto, poi tra adulti ci si sposta parlare in cucina a vedere se per Nonna Italia c'è ancora qualcosa che si possa fare? Vi va?
Io intanto metto su il caffè.

...quanti macchiati?


martedì 8 febbraio 2011

- La Mappa -

In scena ci vorrebbe una pistola,
per aggiungere del grasso a questa notte sola.
Scintillo nel mio abito da sera,
quello elegante: calzini, boxer, canottiera.

Mi accorgo lento di aver sbadigliato:
chissà quali e quante volte mi son ritrovato
immerso fino agli occhi in questo fosso.
Ma mai fino a vedermi mettere qualcosa addosso.

Nella campana del vecchio giaccone
mi raggiunge fioco il cigolio che fa il portone:
quindi è innocuo aggregarmi alla masnada
di chi a quest'ora cerca di trovare una sua strada

Non sento la pressione sotto i piedi,
non sento le scarpe stringere, se me lo chiedi:
stanotte naufrago come uno spettro
giù per i gradini gommati e neri della metro.

Scovo una mappa e la scorro col dito,
spaesato al mio paese, smarrito nel suo ordito,
cerco toponomastiche inattese
che non trascinino ricordi spenti d'ore spese.

Non mi serve un panino in viale Argonne,
c'è troppa puzza, troppi tamarri e poche donne.
Non mi serve vagabondare in Brera;
coi miei soldi non prendo nemmeno una birra intera.

E non volevo: l'occhio c'è inciampato
sull'inconsapevole quadrante che ha ospitato
l'ultima sera per me e lei vicini,
mezz'ora incolonnati lungo viale Forlanini.

Coi finestrini giù, restando zitti,
sperando forte di non uscircene sconfitti.
E lì ci siamo amati senza sguardi,
blindati nell'eterno "è troppo presto", "è troppo tardi".

Sospetto che la caccia sia finita:
non trovo una via che vada via dalla mia vita.
Risalgo a passi freddi in Monte Rosa
a inseguire il richiamo di un'insegna luminosa.

E forse in scena manca solo la pistola,
per raggiungere il finale di questa notte sola.